venerdì 13 febbraio 2015

Dopo più di 10 anni non sono più una mosca bianca a parlare di cancro infantile,
dopo più di 10 anni gli altri, molti altri, sono interessati a sentirne parlare!
Più di 10 anni in cui altri, molto impegnati sul campo, hanno fatto dure battaglie per tirare fuori tutto questo da un ghetto, forse meglio da un buco nero.

Cancro e bambini... 2 parole che è proprio difficile mettere insieme, 2 immagini così agli antipodi da creare un ossimoro.

E invece parliamone: i bambini si ammalano, non sono tanti, ma si ammalano. I loro tumori sono in parte diversi da quelli degli adulti: molto dipende dall'età, ma tantissimi in percentuale sono i tumori del sangue (leucemie e linfomi) e vari i tumori del sistema nervoso.
Sempre di più questi tumori vengono curati e i bambini guariscono e diventano grandi.

Io mi sono avvicinata quasi per caso (ma poi nulla è per caso...) a questo mondo: prima sulla carta, poi nella realtà. Ho scoperto nel contatto quotidiano la forza e la debolezza di questi bambini e di queste famiglie, il coraggio e l'umanità degli oncologi (non posso dimenticare la dr.ssa Ilaria L.). Ho imparato che le famiglie fanno quello che possono, che gli operatori danno tutto quello che sanno e che i bambini...

Ecco, i bambini ti insegnano il presente: un bimbo di 2 anni con la flebo in day hospital corre sulla sua macchinina mentre mamma o papà lo rincorrono con l'asta che tiene la flebo, perché mentre aspetta lui vuole giocare e i suoi genitori sono lì anche per questo.
I bambini ti insegnano che hanno bisogno che tu li veda come sani per crederci anche loro: un ragazzino di 8-9 anni sta con me e la collega flautista a cantare e giocare, lo chiamano e torna con l'ago cannula alla mano, la mano impietrita, lui irrigidito... una pallina e una musica dolce lo aiutano a fidarsi e a ricominciare a muovere le dita, a sentirsi bambino.
I bambini ti insegnano che sanno prendersi cura delle fragilità dei genitori: una bambina di 10 anni, osteosarcoma operato e zoppica, la mamma mi chiede di non dirle nulla nel mio darle il questionario che serve per la tesi, perché la bambina non sa niente, la rassicuro e mentre la bambina risponde alle domande mi guarda e fa: qui, dici gli antidolorifici x per y? forse sa più lei di tutti noi... Come lo dici alla mamma che si stanno proteggendo a vicenda e forse si fanno un gran male?
I bambini ti insegnano l'autenticità e l'adattamento: la bambina di 10 anni cui dico "vuoi compilare un questionario, mi serve..." e  lei "ci siamo visti 20 giorni fa, ero in camera sterile, non mi riconosci, vero? avevo i capelli ricci" (ora ha la bandana).

Il mio viaggio in oncologia pediatrica inizia da qui. Poi c'è tanta formazione, studi, pubblicazioni, impegno clinico... in un percorso d'amore e di rispetto per le persone incontrate.
L'approdo professionale è la consapevolezza che quando si ammala un bambino c'è una famiglia e in essa tante persone, con le loro emozioni e i loro pensieri, che hanno bisogno di accoglienza, ascolto e sostegno; ci sono persone la cui vita subisce uno shock forte, ci sono tante esigenze da tenere presenti... c'è una malattia da curare; ci sono persone da sostenere perché possano vivere la loro vita in pienezza; ci sono il presente di tutti  da vivere senza che la malattia diventi totalizzante e il futuro di tutti da rendere pensabile e realizzabile senza rinunciare ai sogni, magari rivedendoli; ci sono le persone che curano che si feriscono ogni giorno un pochino o molto e meritano di poter sanare le loro ferite.
L'approdo personale è un senso della vita radicato in modo profondo e una ricchezza che solo l'incontro con l'altro può darti e di cui non potrò stancarmi mai, è la certezza del limite nel mio lavoro, è la fiducia nelle risorse delle persone...


Nessun commento:

Posta un commento